biografia

Massimo Villa è nato nel 1974 a Varese, dove vive e lavora. Dopo la laurea in Scienze Naturali all’Università Statale di Milano, prosegue il suo dialogo con il paesaggio indagandolo con la sensibilità del naturalista e l’occhio del pittore. Dipinti con la tecnica dell’olio su tela, nascono i cicli dedicati al Lago di Varese e alla palude Brabbia, alle montagne e ai boschi del Varesotto.

Nel 2008 ha cominciato a dipingere le prime nature morte.

La ricerca di Massimo Villa è segnata fin dagli esordi da una pazienza tenace nel perseguire l’immagine pennellata dopo pennellata, tratto dopo tratto. Con lentezza, con precisione, con dedizione. Talento appartato, autodidatta, si è fatto conoscere come pittore di paesaggi incontaminati, talvolta incolti, immersi in una serafica tranquillità. “Finestre che si affacciano su una bellezza rasserenante, che toglie il fiato”, le chiama l’artista, per il quale la natura del lago e delle colline del Varesotto non ha segreti.

Per anni ha battuto boschi, paludi e canneti con la macchina fotografica sempre a portata di mano, pronto a cogliere del paesaggio ciò che gli appariva di volta in volta come maggiormente carico di presagi, di simboli. Poi, in studio, cominciava il lavoro paziente di scavo profondo, meticoloso, ossessivo sui particolari, alla ricerca dell’immagine perfetta. E’ nata così una serie di dipinti che cattura la costante mutevolezza della luce nelle diverse ore del giorno e nelle varie stagioni, dove il verde e l’azzurro si declinano in una molteplicità senza fine di gamme, sfumature, ombreggiature, riflessi, evanescenze.

Il lavoro minuzioso e solitario sull’immagine caratterizza anche le nature morte, dipinti di un virtuosismo illusionistico e di una precisione lenticolare. C’è un amore attento, partecipe nel modo in cui Massimo Villa guarda e sfiora i soggetti che poi ritrae sulla tela. Mai scelti a caso, i protagonisti che mette sui suoi palcoscenici sono ricercati con pazienza nei mercati: “Spesso quelli con più personalità sono proprio i frutti con ammaccature o dalla forma irregolare”, racconta.

Nel silenzio del suo studio apparecchia il tavolo con la scena da dipingere. E’ il momento più delicato. Dispone i frutti sotto il fascio di luce della lampada, li accosta, li allontana, li avvicina di nuovo per creare il modello delle sue studiatissime architetture. Dove tutto è necessario e nulla è casuale. Si muove silenzioso, quasi inavvertito, alla ricerca del punto di vista ideale per ritrarre la scena che ha in mente. Dà l’ultimo tocco, poi sistema il cavalletto e scatta. La foto fornisce una traccia che l’artista seguirà fedelmente.

Ogni asperità della buccia viene riprodotta con mano esperta e instancabile, ogni nervatura su una foglia viene resa con un calligrafismo minuzioso che si ferma solo un passo prima dell’iperrealismo, ogni singola irregolarità che rende unico un frutto viene descritta con la virtuosistica precisione di un pittore realista del Seicento e, allo stesso tempo, con la glacialità di un artista concettuale, in un curioso gioco degli opposti e dei contrasti.

Composizioni di sapore caravaggesco con mele sensuali accarezzate fin negli anfratti e grappoli d’uva incoronati di foglie secche. Cedri dalle bucce bitorzolute che invitano ad affondarvi i denti. Ciliegie così succose che con poco sforzo se ne potrebbe sentire il sapore. Ma la vera protagonista è la superficie liscia e fredda della ceramica bianca che contrasta coi frutti sgargianti. E’ lei che cattura inevitabilmente lo sguardo, rubando l’attenzione a tutto il resto, mossa da ombre e riflessi da scoprire quasi incollando l’occhio al quadro.

All’origine della pittura di Massimo Villa c’è l’amore per il Bello. “Tutte le mie opere”, racconta, “scaturiscono da una ricerca estetica. Tuttavia, in un secondo tempo mi accorgo con stupore di come esse rispecchino puntualmente la mia vita, di come riflettano fedelmente, fatalmente le mie esperienze reali”.

Così accadeva con la poesia degli oggetti di Giorgio Morandi, il quale, mettendo su un tavolo una fila di bottiglie, era capace di raccontare tutto un mondo, il suo. Dalla ricerca di una bellezza formale, fatta di un delicato equilibrio tra luci e ombre, volumi e colori, sorgono monumenti minimi apparentemente fuori dal tempo e dal vissuto personale.

“Ma nel momento stesso in cui sento di aver fermato sulla tela una composizione capace di distrarmi con la sua bellezza dai pensieri, dalle preoccupazioni quotidiane, ecco che, inaspettatamente, il modo in cui ho disposto i volumi mi riporta a situazioni che mi riguardano da vicino”.

Così da un punto di vista formale una nocciola sfuggita alla ciotola può avere la funzione di bilanciare la composizione, ma il titolo del quadro suggerisce una lettura ben diversa: “Per me non c’è proprio posto qui”. Sono spesso i titoli dei dipinti a evidenziare il collegamento con la realtà: un contenitore pieno di uova rotte è “Disastri famigliari”, una colonna di arance in equilibrio assai precario è un “Carico famigliare” difficile da reggere.

Se dunque l’antica lezione della natura morta classica come memento mori, come simbolo della caducità delle cose terrene, è lontana dalla pittura luminosa di Villa, qualche volta la sua visione tersa è incrinata da un senso di dramma immanente. I suoi quadri parlano di accostamenti inattesi, parentele insospettabili e alchimie segrete che fanno vibrare le cose di fremiti sopiti, di emozioni nascoste. La frutta pulsa di una vitalità sotterranea, e la luce magica e inesorabile che bagna la scena contribuisce a orchestrare un’atmosfera di sospensione fatale, di magnetico, irresistibile sortilegio. Dipinte con un rigore impeccabile, le nature morte di Massimo Villa sono opere da lenta degustazione, da esplorare dettaglio dopo dettaglio, fino a farne risuonare la caratteristica nota pensosa.

Licia Spagnesi